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Piano Juncker: dopo l'esordio il rischio flop

04 Maggio 2015

(From www.euractiv.it )

Juncker

Il piano Juncker parte male. I numeri dei primi investimenti attivati dalla Bei dicono che le previsioni di Bruxelles in termini di risorse mobilitate rischiano di essere troppo ottimistiche.

Dubbi dei privati, scarso entusiasmo dei paesi membri. E, soprattutto, un impatto sull’economia reale che, al momento, appare completamente sballato. Il piano Juncker rischia di rivelarsi un flop. Lo dicono chiaramente i numeri dei primi progetti di investimento, approvati nei giorni scorsi dalla Bei: mobiliteranno appena il triplo del denaro messo a garanzia mentre, secondo lo schema di Bruxelles, questo moltiplicatore dovrebbe garantire una leva di quindici volte.

Quattro investimenti all'attivo

I primi investimenti sono stati attivati pochi giorni fa. E, a ben guardare, non è arrivata la scossa che tutti aspettavano. La Bei ha messo in moto risorse per 300 milioni di euro in quattro paesi: Croazia, Spagna, Irlanda e Italia. Al di là dell’investimento totale mobilitato, però, a preoccupare sono altre questioni, legate al rapporto tra il denaro impegnato da Bruxelles e quello effettivamente movimentato dall’operazione.

Le ipotesi del piano

Il piano Juncker, infatti, si regge sull’idea che l’Europa metta sul piatto 21 miliardi di euro di risorse già disponibili nelle pieghe dei suoi bilanci. Questo denaro, posto a garanzia degli investimenti, potrà mobilitare risorse pubbliche e private in grandissima quantità, in base a un effetto leva che le moltiplicherà di quindici volte. Portando il totale degli investimenti attivati a quota 315 miliardi di euro.

I primi numeri

Le cifre di questi primi quattro investimenti, però, parlano di numeri ben diversi e nettamente più bassi. I 300 milioni di Bruxelles. sono stati in grado di smuovere risorse per 850 milioni di euro. Un rapporto di uno a tre, esattamente un quinto rispetto alle previsioni dell’Europa. Tanto per rendere plastica la differenza, rispettando i parametri ipotizzati dalla Commissione, questi 300 milioni avrebbero dovuto mettere in circolazione 4,5 miliardi di euro. Mancano all’appello 3,6 miliardi. Anche se questo moltiplicatore viene misurato su base triennale, ipotizzando che la Bei presti il suo denaro più volte tra il 2015 e il 2017, non si raggiungono le mirabolanti cifre indicate dall’Ue.

Tutti i dubbi in campo

Queste notizie fanno il paio con altri elementi altrettanto sconfortanti. Il piano, infatti, dovrebbe essere attivato a settembre, grazie alla messa in funzione del fondo Efsi. Sulle regole di funzionamento del fondo, però, la polemica è aperta, tanto che la stessa Bei critica l’approccio seguito fin qui dalla Commissione. Sul fronte dei fondi privati, è lo stesso Jean Claude Juncker che ha espresso, nei giorni scorsi, delusione: i riscontri di questi primi mesi di colloqui sarebbero stati inferiori alle aspettative.

Ancora pochi i paesi coinvolti

E anche i paesi membri non hanno aperto i cordoni della borsa come ci si attendeva. Ad oggi sono solo sei gli Stati che hanno messo sul piatto risorse: Germania, Spagna, Francia, Italia, Lussemburgo e Polonia. Evidentemente, continua a pesare la diffidenza verso un piano che non ha ancora chiarito i criteri di selezione dei progetti. Il timore diffuso è che, alla fine, non ci sia un beneficio reale per i paesi investitori.