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Immigrazione: Di Capua (Sprar), Ue dia risposta comune

21 Settembre 2015

(Da www.euractiv.it)

 United Nations Photo / photo on flickr

L’attuale sistema di asilo italiano è come un elastico. È sotto tensione da tempo e rischia di rompersi da un momento all’altro. I numeri spiegano meglio delle parole. Se nel 2013 i posti disponibili erano circa 11mila oggi sono oltre 90mila i migranti ospitati dalla rete di accoglienza nazionale.

“Ma oltre il 60% di queste strutture è di natura provvisoria – afferma il Centro studi della Fondazione Leone Moressa - parliamo di hotel e palestre: strutture non adeguate per le necessità del caso”. La rete dell’accoglienza italiana è costituita da 19 centri governativi e da 1861 strutture provvisorie, oltre alla rete Sprar, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.

Questo network sarebbe finalizzato alla seconda accoglienza, cioè all’integrazione di chi ha diritto alla protezione internazionale. Per l’aumento eccezionale degli sbarchi oggi è impiegato per dare assistenza immediata ai migranti. “Se consideriamo che in due anni lo Sprar è passato da una capacità di 3mila a 21mila posti possiamo dire che il sistema sta rispondendo bene alla crisi”. A parlare è Daniela Di Capua, direttrice dello Sprar. “Tuttavia i numeri sono ancora insufficienti – continua - e non siamo riusciti a passare dall’intervento straordinario a un sistema ordinario per la gestione dei migranti”.

Il problema è semplice, dice Di Capua: “Molte delle strutture temporanee che ospitano migranti non sono qualificate. Qui chi arriva non impara l’italiano, non ottiene informazioni che possano tornagli utili per avviare un percorso di integrazione. Restano accolti e basta. Così si crea un circolo vizioso”.

Il sovraccarico del sistema? “Non è un problema di aumento dei numeri di richiesta di asilo ma di lentezza burocratica - ammette la direttrice dello Sprar - quando abbiamo deciso di aumentare il numero delle commissioni territoriali per le richieste di asilo è passato un anno solo per avere il decreto attuativo”.

Secondo il manuale operativo dello Sprar per analizzare una richiesta di asilo servono circa 35 giorni. Nella realtà ci vuole almeno un anno. Spesso passano mesi prima che le questure emettano soltanto la notifica della ricevuta domanda di asilo. Senza di essa il sistema informatico che gestisce le richieste non può calendarizzare le audizioni che i rifugiati devono sostenere per decidere se hanno o meno diritto di asilo. 

Tutto questo dovrebbe cambiare, secondo l’Unione europea, con gli ormai famosi hot spot, nuovi centri per l’identificazione e la separazione di chi ha diritto all’asilo da chi verrà rimpatriato. “Nel recepimento dell’ultima direttiva europea sull’immigrazione la parola hot spot non l’ho vista ne nella norma Ue ne nella nostra - afferma Di Capua - non sappiamo cosa fare per dare loro una validità giuridica”.

Eppure i primi hot spot italiani, allestiti in centri già preesistenti come quello di Lampedusa, sono operativi. “Sicuramente da quando l’Europa si è mossa sul tema immigrazione qualcosa è cambiato” dice Di Capua. Le identificazioni sono aumentate: nel 2014 solo 60mila dei 170mila migranti sbarcati in Italia si erano lasciati fotosegnalare.

“Molti si rifiutano, in gran parte eritrei e siriani, perché sanno che con il trattato di Dublino sarebbero costretti a fare domanda qua, mentre il loro obiettivo è la Germania dove sono sicuri di essere accettati. È uno dei grossi problemi di non avere una politica di asilo comunitaria” sottolinea la direttrice dello Sprar.

Ma il vento secondo Di Capua sembra ormai soffiare dalla parte giusta. “Ciò di cui c’era veramente bisogno era di una forte volontà politica sul tema. In Italia e in Europa. E ancora una volta il superamento dell’impasse comunitaria è dovuto ad Angela Merkel. Accogliendo tutti questi migranti si è messa in una posizione attiva rispetto a un fenomeno che non potremo fermare. Ha capito che l’unica cosa che si può fare davanti a una cosa del genere è cercare di governarla. E così facendo costringe l’Unione europea a muoversi verso una risposta comune”.

Photo credit: United Nations Photo / Foter / CC BY-NC-ND