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Piano Juncker: si fanno avanti Cina e paesi del Golfo

15 Maggio 2015

(Da www.euractiv.it)

Ecofin

Manca poco alla partenza del piano Juncker. E, sul nuovo fondo per gli investimenti, si affaccia l’interesse di diversi giganti extra europei: Asia e paesi del Golfo vorrebbero entrare nell’operazione.

Piano Juncker a una svolta entro fine mese. Il messaggio arriva dalla presidenza lettone, che punta a chiudere i negoziati con il Parlamento Ue e la Commissione nel giro di pochi giorni, in modo da adottare il regolamento che renderà pienamente funzionale lo strumento a giugno. Intanto, sul nuovo veicolo si affacciano gli sguardi dei giganti dell’Asia e dei paesi arabi: è la Cina, secondo diverse indiscrezioni che arrivano da Bruxelles, che potrebbe portare benzina importante nel motore del piano, insieme ai fondi sovrani dell’area del Golfo.

Il calendario

Partiamo dai tempi. La presidenza punta, in sostanza, a chiudere la partita entro l’estate, in modo da consentire una piena funzionalità del piano tra luglio e settembre. La fase negoziale andrà completata entro maggio mentre il regolamento dovrà essere approvato a giugno. Resta da sciogliere, soprattutto, il nodo del finanziamento dell'Efsi. Il Parlamento, infatti, si è già detto contrario alla sottrazione di fondi assegnati in maniera stabile da altre voci del bilancio comunitario; bisognerebbe, invece, valutare anno per anno dove prendere il denaro. Mentre per il Consiglio “è importante che le fonti finanziarie siano chiaramente identificate e che l'allocazione dei fondi sia prevedibile” per gli investitori.

Risorse avanti piano

Il tema delle risorse, infatti, continua a lasciare qualche perplessità. Il Fondo europeo per gli investimenti (Fei), che fa parte della Bei, ha appena firmato con Bpifrance, l'equivalente francese della Cdp, un'intesa per un pre-finanziamento da 420 milioni per i prossimi due anni alle Pmi nell'ambito del piano Juncker. Come era stato per i primi 300 milioni di prestiti licenziati dalla Banca europea per gli investimenti, insomma, il denaro scorre con una certa lentezza e i 315 miliardi ipotizzati dalla Commissione sembrano un traguardo davvero difficile da raggiungere.

Il fronte cinese

Una svolta potrebbe arrivare dall’interesse cinese per il piano. La Commissione, in diverse sedi, ha già fatto capire che il denaro del gigante asiatico sarebbe bene accolto. E diverse fonti accreditano l’ipotesi che imprese e fondi di investimento cinesi possano impegnarsi in Europa per diversificare la loro liquidità in eccesso. Per parlare di questo, a inizio giugno a Bruxelles, si terrà un incontro tra rappresentanti di imprese cinesi e del Comitato delle Regioni.

Possibili investimenti

I fronti sui quali si potrebbe investire sono diversi, come spiega il presidente di China Eu, associazione per lo sviluppo del digitale tra Cina ed Europa Luigi Gambardella. “Pechino - dice - è interessata alle infrastrutture e in particolare al settore digitale. E’ possibile raggiungere in tempi brevi un accordo di cooperazione sul 5G, la futura rete mobile ad alta velocità e al tempo stesso promuovere in maniera congiunta ricerca e sviluppo e lavorare insieme per un unico standard e sul tema delle frequenze a livello internazionale”.

E non è tutto. Qualche possibile sviluppo potrebbe arrivare sul fronte delle smart city, delle smart energy e della connessione di oggetti. In generale, molto si potrebbe fare “sul terreno delle nuove tecnologie, sia per l'interesse cinese all'acquisizione di tecnologia europea che per il possibile sviluppo di iniziative congiunte per favorire la nascita di start-up nel settore dell'alta tecnologia. Recentemente il governo cinese ha annunciato la creazione di un fondo di 6,5 miliardi di dollari per promuovere start-up altamente innovative”.

Interesse dall'Asia

Il piano Juncker, secondo diverse fonti comunitarie, sta riscontrando un grande interesse sia in Asia che tra i fondi sovrani dei paesi arabi. Soprattutto, si aspetta di capire quali saranno le condizioni per gli investimenti: l’obiettivo è trovare un veicolo che possa accompagnare questi paesi in Europa senza dover affrontare in prima persona le condizioni tradizionalmente difficili dei nostri mercati, ad esempio sul fronte dei permessi e delle autorizzazioni.